Massimo De Angelis, 08 Febbraio 2021
Gli investimenti previsti in Europa e negli Usa per quanto grandi non bastano: occorre stabilire criteri per selezionare quali imprese riceveranno aiuti e quali saranno lasciate andare in fallimento, quali lavoratori proteggere e quali invece lasciare cadere nel vuoto. Sì, perché se fino ad ora la crisi provocata dalla pandemia si è manifestata come crisi di liquidità, ora è cominciata quella di solvibilità. La spinta che porta Mario Draghi al governo fa parte di questo processo. Non servono dibattiti pubblici né scelte diverse di politica economica, fanno sapere dai piani alti, bisogna dare forza all’algoritmo sociale che ha portato alle devastanti crisi sociali e ambientali in corso: il mercato. “In questo approccio – scrive Massimo De Angelis – non c’è risonanza con i desideri e le speranze del comune…”, è indispensabile coltivarli su terreni differenti. Se lo scenario è questo allora restano fondamentali due lotte in grado di coinvolgere le persone comuni: una per il reddito di base universale, l’altra intorno a una parola completamente svuotata di significato, democrazia
Una civiltà è la meta-cultura di un tempo e designa i modi di relazione dominante al fine della riproduzione sociale. La pandemia è solo l’ultima delle rivelazioni di come la pratica civilizzatrice del capitalismo sia un modello di riproduzione sociale e ambientale violento, discriminatorio e distruttivo. La designazione di Mario Draghi a presidente del consiglio non sarà certamente l’occasione per cambiare modello. Al contrario, corona il capitale finanziario a guida del capitale in generale, in una fase critica attraversata da domande fondamentali e tensioni sociali profonde non solo per il destino dell’accumulazione capitalistica ma anche della sua modalità civilizzatrice.
Come ci ha fatto notare un recente articolo di Marco Bersani su il manifesto, Mario Draghi è parte del Gruppo dei 30, un think tank internazionale composta da grandi capitali finanziari e personalità come Yi Gang (governatore della Banca Popolare della Cina), o Janet Yellen (di recente nomina a segretaria del tesoro dal presidente Biden). Il Gruppo dei 30 ha stilato un rapporto su come affrontare il dopo pandemia, presentato dallo stesso Draghi in un video sul sito del gruppo. Quello che mi interessa sottolineare di questo rapporto è la questione della solvibilità di imprese e settori del dopo pandemia, e della necessaria selezione che si dovrà operare per distribuire le risorse del Recovery Plan.
Nel Recovery Plan europeo — e la stessa logica si può applicare anche a quello di Biden — non ci saranno soldi per tutti, occorrerà scegliere una strategica. Non c’è dunque solo la questione della priorità tematiche del Recovery (conversione ecologica, digitalizzazione etc.), ma anche l’esigenza di stabilire criteri per selezionare quali imprese riceveranno aiuti e quali invece saranno lasciate andare in fallimento. Sì, perché se fino ad ora la crisi si è manifestata come crisi di liquidità, si sta entrando ora nella prospettiva di crisi di solvibilità: la recessione economica innescata dalla pandemia, ha portato il mondo delle imprese (piccole o grandi che siano), a stratificarsi in livelli diversi di vulnerabilità finanziaria attraverso l’accumulazione di debiti insostenibili. Su quali basi selezionare quelle da aiutare e quelle no? Sulla base del loro percepito contributo alla ripresa della crescita. Non è più questione di prendere tempo provvedendo liquidità alle imprese in difficoltà, ma bisogna focalizzarsi su “questioni strutturali e sulla solvibilità” e sulla “salute di lungo periodo del settore delle imprese”. Questo significa che occorre cambiare approccio: “da misure generali dobbiamo spostarci su misure con obiettivi precisi che permettono di stabilire una nuova allocazione delle risorse”.
Questa dovrà essere effettuata privilegiando le risorse più “produttive”, cioè quelle che permettono di aumentare competitività e ridurre lo spettro dell’insolvenza. E per il Gruppo dei 30 “è critico in questa fase che la politica pubblica si orienti verso una forte ripresa economica”. E come si garantisce la ripresa economica? Lasciar fare agli esperti, cioè “prendendo vantaggio delle capacità del settore privato laddove esistono, al fine di sfruttare le scarse risorse pubbliche e fare utilizzo delle competenze del settore privato per valutare la fattibilità delle imprese”. Selezionare chi sta dentro e sta fuori, scegliere dove andare, dove investire risorse ed energie sociali, cosa fare, è il passo principale di costruzione del nostro mondo, della nostra realtà. Selezionare è operare una distinzione, è creare il mondo nel quale si vive e si coopera, è distinguere chi sta dentro e chi sta fuori, ciò che noi stabiliamo cosa è bene in dati contesti e ciò che è male. Secondo il Gruppo dei 30 questa selezione non la deve fare la moltitudine attraverso un dibattito pubblico e strumenti (vecchi o nuovi) di rappresentanza politica, in un contesto di una molteplicità di crisi sociali, violenze, diseguaglianze, indegnità e collasso ecologico. La deve fare lo stesso algoritmo sociale che ci ha portato a devastanti crisi sociali, al collasso ecologico e al contesto per l’esplosione pandemica: il mercato.
Diamo dunque in mano al mercato la scelta strategia di dove investire sul nostro futuro, come se non ne avessimo avuto abbastanza. Questa sarà la politica di Mario Draghi. E sebbene sia “legittimo” che molti paesi vogliano rispondere con politiche strategiche “come l’ecologizzazione dell’economia economia o la digitalizzazione”, è anche importante “un attento bilanciamento del desiderio di dirigere il processo di cambiamento contro la necessità di evitare di imporre vincoli eccessivi alle imprese in difficoltà o un’allocazione un’allocazione troppo ristretta del sostegno in troppo pochi settori o imprese specifiche”. In altre parole, se fanno profitti, anche se sono produzioni dalla bassa utilità sociale o ad alto impatto ambientale, lasciateli vivere e prosperare. E nella misura in cui ci sarà cogestione, ci sarà contrattazione sociale, si faranno sedere insieme rappresentanti sindacali e industriali, associazionismo socio-ambientale e politici, tutto ciò servirà non a definire scelte strategiche (quelle lo fa il mercato sulla base di considerazioni non sociali e ambientali, ma puramente economiche di crescita del PIL e dei profitti), ma a cercare di garantire una pace sociale affinché si lasci lavorare il mercato per operare quelle scelte strategiche.
No, in questo approccio non c’è risonanza con i desideri e le speranze del comune. Si selezionerà a quale imprese dare soldi e quali no, secondo criteri di prospettive di crescita e competitività e non di utilità sociale e ambientale. Una vecchia logica che i poteri forti del capitale hanno la faccia tosta di ripresentare. Le imprese che saranno giudicate insolventi, saranno mandate sotto, con gravi conseguenze occupazionali. Le imprese che riceveranno finanziamenti sulla base della loro futura competitività, saranno incoraggiate a innovare e ad aumentare la produttività, il che vuol dire che l’occupazione indotta, se non cala, non crescerà neanche in maniera significativa. Eccoci dunque che ci troveremo con gli stessi problemi di oggi ma ingigantiti ulteriormente: crisi occupazionale e di welfare, meccanismo economico di polarizzazione del reddito (competizione), e crisi ambientale dovuta alla natura estrattiva della competizione economica.
In questo contesto, la battaglia per un reddito di base universale è centrale. Ma anche una battaglia su cosa significhi veramente democrazia e libertà, perché affidare scelte fondamentali per la vita e la riproduzione sociale al mercato non è proprio parte di una concezione virtuosa né della democrazia né della libertà.